by Diego Barucco

  Planetarie giganti: Sh 2-216
Maggio 2011
 

Nel 1959 Stewart Sharpless incluse nel suo celebre catalogo di regioni HII la nube Sh 2-216, visibile inizialmente sulle lastre dell’epoca come un grande arco, facente parte di una vasta regione del diametro di 1,6° di gas ionizzato.
Alla fine degli anni 80', la Sh 2-216 era considerata una tipica regione HII o un antico resto di supernova a causa della regolare morfologia circolare in immagini in Hα e in [N II]; l’ipotesi della regione HII andava in contrasto per la mancanza, nelle immediate vicinanze, di sorgenti stellari energetici (tipo stelle giganti azzurre) in grado di ionizzare il gas di idrogeno. Al contrario l’idea del resto di supernova contrastava con le misure dei flussi delle righe spettrali che divergevano consistentemente nelle abbondanze relative alle righe proibite di [S II] [O I] e [N II], molto più simili alla fase di ricombinazione elettronica tipica di quelle nebulose planetarie con emissione a fluorescenza, dovuta ad una precedente intensa ionizzazione da parte della stella centrale.


Figura 1 - Foto di Sh 2-216 in Ha (modificato, Tweedy et al. 1995).



Figura 2 - Foto di Sh 2-216 in [NII] (modificato, Tweedy et al. 1995).



Figura 3 - Confronto in bicromia delle due immagini precendenti da noi eseguito per mettere in risalto il rapporto tra Ha e [NII]; [NII] in blu e Ha in rosso.

La terza ipotesi era la più interessante: una nebulosa planetaria più grande e più vicina al sistema solare di tutte quelle conosciute. Sulla scia di questa idea furono condotte analisi specifiche che rivelarono da un lato l'osservazione dei flussi delle righe di [O III], particolarmente intense al centro della nebulosa, dall'altro le osservazioni morfologiche con evidenti strutture simili ai resti di supernova ma con ampie regioni di emissione per ricombinazione. A sostegno di queste considerazioni fu necessario affrontare la ricerca dell’antica stella centrale dalla quale la presunta planetaria ebbe origine.
Cudworth & Reynolds (1985) individuarono due candidate nei pressi del centro geometrico e ne studiarono i moti propri; l'idea degli autori era di constatare la posizione geometrica del centro della planetaria come riferimento per i moti propri delle due candidate e di osservare la direzione di decelerazione dei gas dovuti alla prolungata interazione con l'ISM. Se la direzione del moto proprio della stella fosse coincisa con la direzione di decelerazione della planetaria, come anche lo scostamento rispetto al centro geometrico, quella sarebbe stata la possibile fonte stellare originaria della ionizzazione dei gas. Le misure indicarono come probabile candidata la stella LS V+46°21, confermata successivamente da approfondite misure fisiche che rivelarono la natura di nana bianca. La classificazione spettrale diede come esito una stella di tipo DAO, una nana con abbondanze di H ed He in superficie, e con temperatura di 90.000 K. La LS V+46°21 attualmente rappresenta il più luminoso rappresentate delle DAO.
Il resto gassoso in buona approssimazione ha un'apparenza tondeggiante con un profilo regolare: la zona di nord-est è la porzione più brillante e costituisce un grande arco con microstrutture filamentose, dettagliatamente indagate da Tweedy et al. (1995), la zona di sud-ovest invece presenta un bassissimo contrasto con un bordo molto vago. Al centro della planetaria si distinguono due strutture filamentose parallele che secondo vari autori sono manifestazione dell'interazione con l'ISM magnetizzato (Soker & Dgani 1997, Tweedy et al. 1995). Allineamenti nebulari dovuti all'interazione con il campo magnetico galattico che permea il mezzo interstellare, si osservano in molte nebulose come la Laguna, o le polveri che circondano le Pleiadi.


Figura 4 - Dettaglio dell'area di N-E con in evidenzia la struttura filamentosa dell'arco nel quale sono visibili gli effetti di intereazione con l'ISM; la freccia indica la posizione della stella centrale (modificato, Tweedy et al. 1995).



Figura 5 - Confronto delle due immagini precendenti sia a colori che sottrattiva (modificato, Tweedy et al. 1995).

Particolare interesse ha destato il brillante arco luminoso posto a N-E sia per le differenze legate ai flussi [N II] e Hα sia per una serie di microstrutture filamentose registrate in immagini ad alta risoluzione che hanno mostrato fin dal principio un'evidente interazione con il mezzo interstellare (IMS). La Sh 2-216 si presta molto bene a studi nei rapporti fra antiche planetarie e interazioni con l'ISM, un efficace laboratorio sperimentale grazie soprattutto alla ridotta vicinanza della nebulosa al nostro sistema solare che con soli 120 pc la rendono la più vicina planetaria attualmente scoperta.
Tweedy et al. (1995) hanno proposto un modello molto interessante riguardo ai risultati delle osservazioni condotte sul margine di N-E, dove si sospetta una prolungata interazione con il mezzo interstellare. Come detto poc'anzi nell'intero guscio gassoso prevale un’emissione di ricombinazione, in quanto la zona di Strömgren, calcolata sui parametri fisici della stella centrale, non occupa che un quarto della planetaria. Una caratteristica della zona di ricombinazione del gas nebulare è la prevalenza del flusso di [N II] rispetto all'Hα, come si osserva in figura 4; l'[N II] è più luminoso e diffuso, ad eccezione nel margine di N-E, dove l'emissione di Hα ritorna a prevalere mostrandosi con delle strutture filamentose lungo il bordo, del tutto simili alla nebulosa Velo nel Cigno. Con tutta probabilità l'espansione nebulare attraverso l'ISM provoca una ionizzazione di tipo collisionale-termica, ribaltando il rapporto dell'intensità dei flussi fra Hα e [N II]. In definitiva si verifica una stratificazione a tre livelli della colonna di gas: il livello inferiore riguarda le zone più interne prossime alla stella centrale e limitate dalla zona di Strömgren, dove Hα > [N II], il secondo livello comprende la zona di ricombinazione, dove [N II] > Hα, il terzo livello è la sottile porzione d'interfaccia con l'ISM, dove il rapporto dei flussi ritorna ad essere Hα > [N II].

Figura 6 - Struttura teorica degli stati di ionizzazione di una nebulosa planetaria evoluta senza interazione con l'ISM, rapportata alle intensità di flusso tra Ha e [NII].



Figura 7 - Schema di una nebulosa planetaria evoluta in moto relativo attraverso l'ISM con effetto di interazione.

Piuttosto controversa è la stima dell'età della Sh 2-216, sulla base del calcolo teorico basato sulla sequenza di raffreddamento della stella centrale LS V+46°21, il calcolo porta a un’età di 500.000 anni (Tweedy et al. 1995), un valore piuttosto alto considerando la media di altre antiche planetarie. Se basiamo il calcolo valutando l’espansione cinetica del gas nebulare con i parametri del diametro di 3,4 pc alla distanza di 120 pc e con una media delle velocità di espansione nebulari di 13-14 km/s, ricaviamo un’età di circa 250.000 anni. Massimizzando però la media delle velocità di espansione, inserendo i valori più alti riscontrati nelle misurazioni, ovvero tra i 23-24 km/s (Rosado 1986), ricaviamo un'età di 130.000 anni. Napiwotzki (1999) in un’indagine generica su varie stelle centrali di antiche planetarie, considera una distanza per la Sh 2-216 di 185 pc con un diametro di 2,85 pc e un'età cinematica di 660.000 anni, valore che sembrerebbe essere più confrontabile con l'età di raffreddamento della stella centrale di 500.000 anni calcolato da (Tweedy et al. 1995).
Questa notevole discrepanza tra il valore dell'età della stella centrale e il valore dell'età ricavato dall'espansione dei gas nebulari è un fenomeno già riscontrato in altri esempi di antiche planetarie e getta vari dubbi sulle ultime fasi evolutive di nane bianche in rapporto alla loro tipologia spettrale.

L'approccio amatoriale

E’ raro che immagini amatoriali della Sh 2-216 compaiano nelle collezioni fotografiche di astrofili, sia perché si tratta di un oggetto poco conosciuto, sia per la difficoltà e il grande impegno necessario per ottenere immagini soddisfacenti, ciononostante grazie all’evoluzione tecnica delle moderne camere CCD a disposizione degli astrofili, l’impresa non sembra tanto ardua e alcuni esempi lo dimostrano chiaramente.


Figura 8 - Mappa celeste di 15° centrata su Sh 2-216.



Figura 9 - Mappa celeste di 5° centrata su Sh 2-216.

A causa dell’estrema anzianità della planetaria, la tecnica fotografia utilizzabile per Sh 2-216 è molto simile a quella per le larghe regioni HII, questo perché in massima parte l’emissione nebulare è principalmente nelle frequenze di Hα e [NII], in particolare quest’ultima è la più intensa per effetto della diffusa ricombinazione elettronica. La tecnica ripresa più idonea è quella di effettuare pose con filtri a banda molto stretta in Hα e [NII] con banda passante di 3nm, questo perché la luminosità superficiale dell’oggetto è estremamente bassa e restringendo la finestra passante si avrebbe il vantaggio di staccare meglio le deboli propaggini della nebulosa dal fondo cielo. Se però si sceglie di lavorare con un filtro Hα a 3nm s’incorre nel problema dell’esclusione dell’[NII], dove si verifica la maggiore emissione nebulare con il rischio di ritrovarsi con meno segnale disponibile. Se si decide però di utilizzare filtri a 3nm è necessario operare su entrambe le bande e ciò ai fini di studio è la soluzione migliore, perché il rapporto tra le due frequenze diventa uno strumento molto utile per evidenziare gli effetti a lungo termine dell’interazione dell’ISM con il resto nebulare. In ambito amatoriale questo non è ancora avvenuto.
Il caso più frequente è sicuramente quello di non avere a disposizione un filtro [NII] a banda molto stretta, per cui è opportuno effettuare una ripresa centrata in Hα ma con un filtro più largo; dai 5nm in su si ha la possibilità di includere anche la riga [NII] ed avvantaggiarsi nella raccolta di segnale. E’ chiaro che questa soluzione non permetterà l’analisi dei rapporti Hα/[NII], però avremo un’immagine che sarà la somma di entrambe le frequenze. In un lavoro più ampio tale risultato potrà anche essere utile come luminanza in bicromie Hα-[NII].
Ricordiamo che per le caratteristiche di emissione delle nebulose planetarie non conviene mai utilizzare come luminanza l’immagine ottenuta solo su una banda ristretta, in quanto altererebbe la lettura finale, ma conviene sempre creare la luminanza, sommando tutte le singole riprese per ogni banda o utilizzano una ripresa in luce bianca. Quest’ultima però non è praticabile nei casi di nebulose planetarie molto deboli a meno di non trovarsi sotto cieli estremamente bui.
Il contribuito delle frequenze di più alto stato energetico come l’[OIII] è assolutamente minimo, in questo caso un filtro a 3nm aiuta molto nel tentativo di staccare le deboli strutture più interne che comunque sono presenti solo attorno alla stella centrale.
Vediamo all’atto pratico alcuni esempi significativi.


Figura 10 - Foto ottenuta da Steve Mandel in Ha a 3nm con 14 ore di integrazione (Steve Mandel - http://www.galaxyimages.com/sh2-216.html).

La prima immagine è di Steve Mandel, una ripresa con un filtro Hα Custom Scientific da 3nm, con un’integrazione 36 pose di 20 minuti, per un totale di 12 ore. Allo scopo è stata utilizzata una CCD particolarmente sensibile all’Hα quale la Sbig ST10XME con sensore KAF3200ME, montata attraverso un adattatore ad un obiettivo fotografico da 300mm, un Nikkor f/2.8 operante a f/4.
Il risultato è molto interessante e l’autore è riuscito a cogliere per intero tutta la planetaria anche nelle parti estreme, questo grazie all’utilizzo della banda stretta. Secondo quanto detto in precedenza l’uso di un filtro centrato sulla riga Hα a 3nm esclude il contributo dell’[NII] che secondo i dati spettrali in questa planetaria è piuttosto importante, quindi è presumibile ipotizzare che se l’autore avesse utilizzato un filtro Hα a 5-6nm avrebbe potuto avere più segnale e quindi meno tempo di integrazione.
Altro esempio interessante è la tricromia di Dean Salman, il quale con una strumentazione molto simile a quella utilizzata da Mandel, ovvero un obiettivo Nikon da 300mm f/4 accoppiato ad una CCD Sbig ST8XME, riesce ad ottenere riprese in Hα, [OIII] e persino HeII con 15 ore di integrazione; è facile immaginare come in HeII la planetaria non è assolutamente visibile data l’anzianità, al contrario è interessante notare come nell’immagine si evidenzia la presenza di [OIII] nell’area prossima alla stella centrale. L’autore ottiene anche una ripresa più estetica tentando una quadricromia LRGB, dove in L utilizza l’immagine Hα.

Figura 11 - Immagine in tricromia interferienzale Ha+[OIII]+HeII di Dean Salman con 9 ore di integrazione (Dean Salman - http://www.sharplesscatalog.com).



Figura 12 - Immagine sempre di Dean Salman in LRGB dove alla luminanza è stato assegnato l'Ha (Dean Salman - http://www.sharplesscatalog.com).

Questi esempi dimostrano la fattibilità dell’impresa al costo di avere la giusta pazienza per affrontare una lunga serie di riprese in modo da raggiungere un tempo d’integrazione sufficiente. Allo scopo è bene non scendere al disotto dei 20 minuti di esposizione e all’occorrenza aumentare questo valore.
Altra nota di attenzione è che il diametro della Sh 2-216 si attesta a 1,6° per cui è necessario l’utilizzo di strumenti ottici che offrano un campo sufficientemente ampio come ad esempio gli obiettivi fotografici o telescopi molto luminosi. Nell’esempio dell’immagine LRGB di Dean Salman, l’autore ha utilizzato un telescopio Takashi Epsilo 160mm f/3.3 accoppiato ad un camera CCD Sbig STL 6303XE, che ha garantito il campo sufficiente per cogliere l’intera nebulosa planetaria.
Infine è inutile ribadire la particolare sensibilità che deve possedere la camera CCD che andiamo ad utilizzare, meglio se equipaggiata di un sensore molto sensibile alle frequenze Hα e [NII].


Dati

Coordinate J2000RA: 4h 43m 21,27s - Dec: +46° 42' 05,8” (riferimento LS V46°+21)
Dimensione angolare: 1,6°
Distanza: 120 ±20 pc
Dimensioni fisiche: 3,4 pc
Età stimata: 450.000 anni
Costellazione: Perseo
Anno della scoperta: 1959


Diego Barucco

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Bibliografia


Interaction of Planetary Nebulae with a Magnetized ISM
- Soker, Noam; Dgani, Ruth - Astrophysical Journal v.484, p.277 (1997).

Interaction of Planetary Nebulae with a Magnetized ISM - Soker, Noam; Dgani, Ruth - Astrophysical Journal v.484, p.277 (1997).

The Closest Planetary Nebula, SH 2-216, and Its Interaction with the Interstellar Medium - Tweedy, R. W.; Martos, M. A.; Noriega-Crespo, A. - Astrophysical Journal v.447, p.257 (1995).

The central star of S 216 - Tweedy, R. W.; Napiwotzki, R. - Royal Astronomical Society, Monthly Notices (ISSN 0035-8711), vol. 259, no. 2, p. 315-322 (1992).

Interaction of planetary nebulae with the interstellar medium - Borkowski, Kazimierz J.; Sarazin, Craig L.; Soker, Noam - Astrophysical Journal, Part 1 (ISSN 0004-637X), vol. 360, Sept. 1, 1990, p. 173-183 (1990).

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The proper motions of LS V + 46 deg 21 and AS 84, two 'central' star candidates for S216 - Cudworth, K.; Reynolds, R. J. - Astronomical Society of the Pacific, Publications (ISSN 0004-6280), vol. 97, Feb. 1985, p. 175, 176. NSF-supported research (1985).

A newly discovered nearby planetary nebula of old age - Weinberger, R.; Dengel, J.; Hartl, H.; Sabbadin, F. - Astrophysical Journal, Part 1, vol. 265, Feb. 1, 1983, p. 249-257. Research supported by the Fonds zur Foerderung der wissenschaftlichen Forschung (1983).

Galaxy Image - Steve Mandel - Sh2-216

Sharpless Calatog - Dean Salman


Ultimo aggiornamento: Lunedì, Maggio 23, 2011 11:11 AM

 

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