by Diego Barucco

  Planetarie giganti: Hewett 1
Marzo 2011
 

La Hewett 1 è la più grande nebulosa planetaria finora scoperta.
La storia di Hewett 1 comincia e finisce nel 2003 durante un’indagine della Sloan Digital Sky Survey, quando una serie di ricercatori capeggiati da Paul C. Hewett individuarono e studiarono una vasta regione di 2° di diametro di gas ionizzato nei pressi della già nota nana bianca PG 1034+001. Una sistematica acquisizione di dati spettrali rivelò agli autori un’intensa presenza del flusso di [O III] e una generale emissione di HII e [NII] in tutta l'area del cielo indagata, con distribuzioni e morfologie talora differenti nelle diverse bande. Le abbondanze relative al flusso di [O III] in particolare, erano riscontrabili attorno alla nana bianca, mentre in porzioni più esterne vi era una maggiore presenza di HII e [NII], segno che la ionizzazione osservata era stratificata e dovuta alla presenza della PG 1034+001 al centro. Sulla base dei flussi spettrali riscontrati e la vicinanza della nana bianca di tipo DO, gli autori dichiararono che questa vasta regione di gas ionizzato era certamente il resto di un'antichissima nebulosa planetaria.


Immagine in Halpha dei resti gassosi scoperti da Hewett et al. (2003) in prossimità della nana PG 1034+001. Le stelle di campo sono state sottratte.


Stessa porzione di cielo precendente ma in luce [OIII] nel quale si osserva un grande arco parabolico; il cerchio indica la posizione della nana bianca (Hewett et. al, 2003).

Al livello morfologico fu riscontrata una situazione molto complessa, poiché non erano riconoscibili strutture tipiche delle planetarie, quali bolle o tracce di particolari simmetrie. La porzione più disomogenea si trova nelle vicinanze della nana, mentre a sud di questa si sviluppa un grande arco dal profilo parabolico ben visibile in [O III], il cui centro non coincide con l'antico nucleo stellare.
Gli autori stimarono la distanza utilizzando come punto di riferimento la PG 1034+001, e ricavando un valore di 155 pc con un errore di 50 pc, mentre le stime della velocità di espansione dei gas furono tra 0 a 20 km/s con un'età compresa fra 50000 e 100000 anni.


Immagine in tricromia eseguita sulla base delle riprese in Ha e [OIII] precendenti


Stessa immagine della precendente nella quale abbiamo indicato le stelle omesse e i valori di magnitudine.


Posizione nel cielo dell'area centrale della Hewett 1 riportata sull'atlante stellare Carte du Ciel. A sinistra la stella Beta Sextantis

Tuttavia la Hewett 1 doveva ancora rivelare altre strabilianti caratteristiche. Nello stesso anno un secondo gruppo di ricercatori tedeschi diretti da T. Rauch, durante un'ispezione tramite il SHASSA (Southern H-alpha Sky Survey Atlas), realizzano un’ulteriore scoperta nei dintorni della nebulosa indagata precedentemente da Hewett et al. (2003), questi, infatti, rivelano la presenza di due enormi resti gassosi di forma ellittica aventi come centro geometrico la nebulosa Hewett 1 ed in particolare la nana bianca PG 1034+001 (Rauch et al. 2007). La misura delle dimensioni è impressionante: l'ellisse più interno misura 6° x 9°, mentre l'ellisse esterno, più irregolare, è di 10° x 16°, che alla distanza di circa 155 pc, corrisponde ad un raggio reale di 12 pc. Un tale valore del diametro suscitò fin da subito il dubbio sulla possibilità che la nana bianca fosse stata in grado di ionizzare i gas a quella distanza; fu calcolata quindi la sfera teorica di Strömgren , considerando una massa di circa 0,62 ± 0,06 M○, una temperatura di 100.000 K e un’emissione energetica di 13 eV; il risultato del raggio di Strömgren fu di 7 pc, da cui la deduzione che l’origine dell’emissività di HII al di fuori di questo valore è prettamente dovuta all’interazione termica con il mezzo interstellare.


Immagine della scoperta dei due enormi shell esterni ad opera di Rauch et al. (2004), in cerchio indica la posizione della nana bianca PG 1034+001


Schema delle strutture della Hewett 1 dopo la scoperta di Rauch et al. (2003) tramite il SHASSA.

Un ulteriore contributo al flusso di HII è dovuto invece alla ricombinazione elettronica per la precedente fotoionizzazione ultravioletta, infatti, se consideriamo che 30000 anni fa la PG 1034+001 raggiunse il suo picco energetico di 150000K, la struttura nebulare, trovandosi a distanza minore, fu esposta ad un alto stato energetico di ionizzazione.
Altro aspetto importante di questa incredibile planetaria è che oltre a superare qualunque record di dimensione angolare, questa risulta essere superiore anche come diametro fisico rispetto i 6,4 pc della precedente capolista la WDHS 1; pertanto lo studio dell'interazione avanzata con l'ISM galattico diventa assolutamente un fattore molto importante.


Posizione nel cielo della Hewett 1 completa dei due shell giganti.

La direzione del moto della Hewett 1 è prossima al semiasse maggiore dell'ellisse interno ed in particolare in direzione ovest, dove la porzione dell’anello è molto debole e diffusa tanto da indicare come l'interazione con l'ISM abbia distrutto e dissolto i gas in espansione, al contrario il margine est ha un notevole rinforzo sia nell’anello interno che dell’anello esterno. La questione rimane aperta, in quanto come comunemente accade nei casi di stato avanzato di interazione diretta con l'ISM, a causa della pressione termica e magnetica, avviene una decelerazione dei gas ed un conseguente aumento della densità localizzata lungo la superficie di shock (Borkowski et al., 1990; Soker 1997). Nella Hewett 1 questo non accade, al contrario osserviamo la distruzione dei margini dello shell ad ovest. Solo future e più precise analisi potranno gettare chiarezza sulla questione.
Interessante è la struttura dello shell esterno, il quale si presenta finemente ondulato e forse con una struttura filiforme che ricorda lontanamente le intricate evoluzioni della nebulosa Velo; tali strutture sono confrontabili con quelle ampiamente studiate su un'altra celebre nebulosa planetaria gigante, la Sh 2-216, un importante e vicino laboratorio per lo studio sugli effetti di interazione avanzata con il mezzo interstellare (Tweedy et al. 1995).
Ultima questione è la genesi dei resti gassosi scoperti, dov’è molto difficile risalire alle fasi più giovanili: la presenza di un vasto shell esterno, di un regolare shell interno e di anomale strutture nebulari in prossimità della stella centrale, sembrano essere relazionate a più episodi di perdita di massa. L’osservazione delle caratteristiche della nana bianca PG 1034+001 potrebbe essere un punto chiave nella comprensione di fenomeni multipli, tale stella, infatti, appartiene al gruppo raro delle nane bianche di tipo di spettrale DO, caratterizzate da spettri in cui si riscontrano linee di emissione dell’HeII, e che sono dirette discendenti dei nuclei di planetarie pre-degenere di tipo PG1159; queste percorrono linee evolutive scandite dalle accensioni in shell della combustione dell’elio (Herald & Bianchi, 2004).


Percorsi evolutivi per nuclei di planetarie in H-burning secondo Wood & Vassiliadis (1993).


Percorsi evolutivi di nuclei di planetarie in He-burning; notare l'accensione dello strato di elio poco prima della discesa verso la sequenza delle nane bianche (Wood & Vassiliadis, 1993)

I nuclei delle planetarie a partire dall’abbandono del ramo asintotico delle giganti, percorrono il lungo moto su un ramo orizzontale del diagramma HR, subendo una lenta contrazione e conseguente aumento di temperatura; questa è la fase definita di H-burning, dove nello strato superficiale della stella avviene la combustione dell’idrogeno. Nel momento in cui il combustibile nucleare termina, la stella subisce una rapida contrazione iniziale con il crollo della luminosità e il lento ingresso verso la sequenza di nana bianca. Se però la massa supera un determinato valore, durante la fase finale di esaurimento dell’idrogeno in uno strato superficiale, le condizioni fisiche consentono l’accensione, per breve un periodo dell’elio (Wood & Vassiliadis, 1993), con la genesi di un flash energetico che può provocare anche un’improvvisa e momentanea perdita di massa, massa costituita da materiale povero in idrogeno ma ricco in elementi più pesanti quali elio e ossigeno.


Curva evolutiva per nuclei di planetarie in He-burnign con il doppio impulso termico per effetto di dell'ignizione dell'elio. Notare il ritorno all'inizio della fase di riscadamento post-AGB (Bloecker, 1995).

I calcoli teorici di Bloecker (1995) per nuclei di planetarie in He-burning porterebbero però ad un’evoluzione più complessa, dove sono previste ben due pulsazioni termiche: una prima fase di pre-ignizione dell’elio, durante la quale avviene solo la combustione dell’idrogeno, ed una seconda fase di accensione dell’elio, dove la stella ripercorre il ramo orizzontale come se ripartisse da una situazione post-AGB. Un’evoluzione molto complessa che giustificherebbe una doppia fase di perdita di massa, con addirittura una presunta doppia hot-bubble a causa del ritorno sul ramo orizzontale post-AGB. La seconda fase di perdita di massa dovrebbe avere caratteristiche simili a quelle osservate in planetarie come Abell 78 e Abell 30, ovvero strutture interne di gas povere di idrogeno.
Se la stella DO in Hewett1 ha percorso la linea evolutiva dei nuclei di planetarie che hanno innescato la combustione dell’elio superficiale, lo studio dei resti gassosi residui dovrebbe tener conto anche di valutazioni in cui è ipotizzabile l’effetto di episodi differenti di perdita di massa. Ciò potrebbe, in parte, aiutare a decifrare la grande complessità dei resti gassosi individuati che tutt’ora rimangono poco chiari.
A riguardo sarebbe interessante un confronto tra le abbondanze chimiche e le caratteristiche fisiche con quelle rare nebulose planetarie che hanno stelle centrali di tipo PG1159 o in una fase ancora più giovanile con i tipi WC o WO, come ad esempio le già citate planetarie Abell 78 e Abell 30 che rappresentano casi molto importanti di nebulose i cui nuclei hanno subito l’effetto di ignizione dell’elio in shell, con l’emissione di strutture nebulari.

L'approccio amatoriale

Se la difficoltà di studio professionale mette a dura prova gli studiosi, in campo visuale possiamo rinunciare in partenza anche con i più grandi telescopi amatoriali. All’occhio umano diretto questa planetaria resta e resterà sempre invisibile.
Diversa è la questione sul piano astrofotografico, benché le difficoltà tecniche siano enormi, esse sono superabili da un’attrezzatura adeguata e da alcuni semplici accorgimenti tecnici.
Chi ne tenta la ripresa diretta di questo oggetto compie sicuramente un’opera temeraria e difficile, tuttavia tale impresa non è impossibile. A dimostrazione di ciò il competente astrofilo Richard Crisp, subito dopo la pubblicazione della scoperta nel novembre 2003 da parte dell’equipe di Hewett, ne ha tentato una ripresa amatoriale in condizioni meteo molto svantaggiose. Nonostante la presenza della luna piena e di inquinamento luminoso, riuscì a catturare la Hewett 1 per la prima volta con attrezzature amatoriali.
Il tentativo di Richard Crisp, seppur non meritevole di apprezzamento estetico, ha il pregio di dimostrare la reale fattibilità dell’impresa anche in rapporto alle immagini professionali, almeno limitatamente ai resti nebulari prossimi alla nana bianca.


Immagine amatoriale in [OIII] di Richard Crisp. Si osserva la rovinosa vignettatura strumentale ma al contempo è visibile poco a destra dal centro dell'immagine il debole arco parabolico (Richard Crisp - http://www.narrowbandimaging.com/Hewett1.htm).


Composizione RGB con Halpha in R e [OIII] in G e B (
Richard Crisp, http://www.narrowbandimaging.com/Hewett1.htm)

Osserviamo quindi la tecnica adottata dall’autore e le caratteristiche tecniche della strumentazione.
L’immagine è risultato dell’integrazione di 3 riprese di 30 minuti in [OIII] e una da 45 minuti in Hapha, tra il 10 e l’11 novembre 2003.
L’immagine è stata composta con Halpha nel canale rosso e l’[OIII] nel verde e nel blu.
La ripresa mostra una grande vignettatura causata da un’eccessiva diffusione di luce per le cattive condizioni meteo che hanno esaltato vignettatura strumentale.
La strumentazione utilizzata dall’autore è stata la seguente:

Telescopio AP Travel diametro 105mm, focale 500mm
Camera ccd FLI IMG1024S con sensore TKS1024
Filtri Ha, [OIII] e [SII] da 3nm

Il campo inquadrato equivalente è di 3°x3°.


Corrispondenza fra l'immagine in [OIII] di Hewett et al. (2003) e di Richard Crisp (Richard Crisp, http://www.narrowbandimaging.com/Hewett1.htm)

Da questa esperienza evinciamo l’importanza dell’utilizzo di filtri a banda molto stretta dell’ordine dei 3nm fondamentali ad abbassare al minimo il chiarore di fondo cielo e quindi di staccare le debolissime sfumature nebulari.
Altro aspetto necessario è l’uso di una ccd ad elevata efficienza quantica con tempi di esposizione non inferiori ai 30 minuti, che consegue una strumentazione adeguata sotto il profilo della stabilità e precisione che annulli i problemi di fastidiose flessioni visti i tempi di esposizione così lunghi.
Altro discorso è invece la possibilità di catturare gli aloni esterni per i quali escludiamo l’uso del telescopio. Diversamente, un campo così esteso è offerto dall’accoppiamento tra una CCD ed un luminoso obiettivo fotografico, purchè equipaggiato di filtro Halpha a 3nm.
Poiché al momento nessun astrofilo ha tentato una simile impresa, il dubbio sulla reale possibilità di catturare anche gli aloni esterni della Hewett 1 resta; tuttavia badando agli accorgimenti enunciati per la ripresa dell’area centrale, anche in questo caso sarà necessario adottare tempi molto lunghi in condizioni di trasparenza eccellenti, preferibilmente lontani da centri urbani.

Dati

Coordinate J2000 – riferimento PG 1034+001
RA: 10h 37m 4,5s
Dec.: -00° 08' 20”
Dim area centrale:
Dim alone interno: 6° x 9°
Dim alone esterno: 10° x 16°
Distanza: 155 ±50 pc
Dim reali alone interno: 16 x 24 pc
Età stimata: >100.000 anni
Costellazione: Sestante – Leone
Anno della scoperta: 2003


Diego Barucco

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Bibliografia

On the discovery of an enormous ionized halo around the hot DO white dwarf PG 1034+001 - Rauch, T.; Kerber, F.; Pauli, E.-M. - Astronomy and Astrophysics, v.417, p.647-650 (2004).

Serendipity and the Sloan Digital Sky Survey: Discovery of the Largest Known Planetary Nebula on the Sky - Hewett, Paul C.; Irwin, Michael J.; Skillman, Evan D.; Foltz, Craig B.; Willis, Jon P.; Warren, Stephen J.; Walton, Nicholas A. - The Astrophysical Journal, Volume 599, Issue 1, pp. L37-L40 (2003).

Far-Ultraviolet Spectroscopic Analyses of Four Central Stars of Planetary Nebulae - Herald, J. E.; Bianchi, L. - The Astrophysical Journal, Volume 609, Issue 1, pp. 378-391 (2004).

Stellar evolution of low- and intermediate-mass stars. II. Post-AGB evolution. - Bloecker, T. - Astronomy and Astrophysics, v.299, p.755 (2005)

Thermal Pulses and Planetary Nebula Ejection - Wood, P. R.; Vassiliadis, E. - Planetary nebulae: proceedings of the 155 Symposium of the International Astronomical Union; held in Innsbruck; Austria; July 1317; 1992. Edited by Ronald Weinberger and Agnes Acker. International Astronomical Union. Symposium no. 155; Kluwer Academic Publishers; Dordrecht, p.291 (1993)

Hydrogen and Helium Burning Evolutionary Tracks - Wood, P. R.; Vassiliadis, E. - Planetary nebulae: proceedings of the 155 Symposium of the International Astronomical Union; held in Innsbruck; Austria; July 1317; 1992. Edited by Ronald Weinberger and Agnes Acker. International Astronomical Union. Symposium no. 155; Kluwer Academic Publishers; Dordrecht, p.465 (1993).

Interaction of planetary nebulae with the interstellar medium - Borkowski, Kazimierz J.; Sarazin, Craig L.; Soker, Noam - Astrophysical Journal, Part 1 (ISSN 0004-637X), vol. 360, Sept. 1, 1990, p. 173-183.

Interaction of Planetary Nebulae with a Magnetized ISM
- Soker, Noam; Dgani, Ruth - Astrophysical Journal v.484, p.277 (1997).

The Closest Planetary Nebula, SH 2-216, and Its Interaction with the Interstellar Medium - Tweedy, R. W.; Martos, M. A.; Noriega-Crespo, A. - Astrophysical Journal v.447, p.257 (1995).

First amateur image of HEWETT 1 Planetary Nebula - Richard Crisp


Ultimo aggiornamento: Mercoledì, Marzo 9, 2011 11:36 PM

 

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